PALERMO
Mons. Lorefice incontra i giornalisti
di Redazione
Come si comporta il
giornalismo dinanzi al crescente fenomeno migratorio che ha assunto ormai una
portata globale? Un argomento di stretta attualità quello che è stato trattato
presso il salone Lavitrano della curia arcivescovile di Palermo. L’evento promosso da un coordinato lavoro
tra l’Ordine dei giornalisti di Sicilia, l’UCSI Sicilia – con la delegazione
della sezione di Palermo – Assostampa, Gus, Unci e l’ufficio Comunicazioni
sociali dell’arcidiocesi di Palermo, è stato un utile strumento di misura per
sondare il terreno dell’informazione. Per l’occasione sono intervenuti diversi
rappresentanti della stampa, della Caritas territoriale e delle associazioni
che investono le proprie energie verso l’aiuto al migrante. In un
avvicendamento di voci, esperienze sul campo e testimonianze, l’incontro è
stato ricco di spunti per il futuro. “Il
giornalismo è sempre più lavoro da Santi” ha dichiarato Riccardo Arena,
presidente dell’Odg Sicilia – il primo a prendere la parola, introdotto dal
moderatore Pino Grasso, direttore dell’Ufficio Comunicazioni sociali della
Diocesi e consigliere della sezione UCSI di Palermo.
Una triste costatazione,
che punta l’obiettivo sul mestiere del giornalista, spesso precario e
sottopagato. Con tali presupposti prende la parola Mario Sedia, vicepresidente
della Caritas di Palermo, che con lucida memoria derubrica le attività e
prospettive del lavoro sin qui svolto dall’Organizzazione in termini di
accoglienza e supporto verso i migranti. “Noi
ci siamo ad ogni sbarco perché questo ci chiede il Vangelo. Noi ci siamo perché
questo è un segno dei tempi, non una momentanea richiesta dell’attuale
Pontefice”. A supporto, la testimonianza del tunisino Anouar Sebai, un assistente
della Caritas locale, a Palermo dal 2009, che da musulmano accolto, adesso
accoglie gli altri. “Aiutando gli altri
aiutiamo noi stessi”, ribadisce con sincera volontà. Nel raccontare la sua
esperienza da inviato a Lampedusa, il giornalista e scrittore Davide Camarrone,
individua punti di analisi sul modo di raccontare il migrante, che non deve
essere a tutti i costi lontano da noi, perché noi stessi “siamo migranti per storia, costume e vivere sociale”.
Ponendosi la domanda su
cosa è Lampedusa per lui, il Giornalista non ha dubbi: “È il luogo in cui il migrante è riconosciuto come tale. Nelle nostre
strade invece, il migrante è il nulla perché quando lo incontriamo guardiamo
altrove, non ci interessa”. Autorevole è stato l’intervento di Mario
Affronti, medico, direttore di Migrantes e presidente della Società italiana di
Medicina e Migrazione. Da uomo di scienza, ha spostato l’attenzione
sull’aspetto sanitario dell’immigrato. Purtroppo “soffriamo della Sindrome di Salgari, ovvero colui che parlava di gente
e luoghi che di fatto non aveva mai visitato”. Lo stesso capita agli
occidentali quanto si parla di immigrazione. Il solito cliché vuole che sia
sporco, brutto, delinquente e infetto. In realtà, aggiunge il Medico: “Sono forti e coraggiosi, perché resistono a
situazioni disumane, durante le traversate”. Miriam Ognibene, animatrice di
comunità del Progetto Policoro, che affronta le dinamiche dell’occupazione
giovanile, spiega invece quali sono le finalità dell’Organizzazione di cui fa
parte. Grazie ad un impegno collettivo, “si
cerca di capire quale sia il talento del giovane migrante, per traghettarlo nel
mondo del lavoro”. Alessandra Turrisi, vivace penna di Avvenire, nonché
consigliere della sezione UCSI di Palermo, nel suo intervento da invece voce alle
storie dei minori non accompagnati, i quali giungono in Italia dopo i viaggi
della disperazione. “Per loro, non solo
c’è il pericolo di un viaggio della speranza ma anche l’incognita di ciò che
trovano nei paesi d’accoglienza”.
Il presidente dell’UCSI
palermitano, il vaticanista Michelangelo Nasca, dopo una breve presentazione
del gruppo che da meno di un anno si è costituito nel capoluogo siciliano,
consegna la tessera onorifica all’Arcivescovo di Palermo, mons. Corrado
Lorefice, nel frattempo giunto per il saluto ai giornalisti. Il suo rapporto
con la stampa è sempre stato onesto e schietto, sin dal suo insediamento in
Diocesi. Il tema degli ultimi, dei reietti, dei migranti, a lui sta molto a
cuore. “Siamo abituati alle notizie di
cronaca. Quante vere e belle esperienze potremmo portare alla ribalta della
comunicazione. Dinanzi ai drammi – continua Lorefice – Gesù non si annuncia solo con le parole, ma con l’esperienza. Solo
toccando con mano condividiamo e quindi facciamo comunione”. L’incontro si conclude con un’esortazione
da Pastore del suo gregge: “Abbiamo solo
una via: custodire il cuore umano che si muove con compassione, nel significato
più evangelico. Le viscere devono vibrare perché quello che vediamo nell’altro
ci appartiene”.
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