domenica 16 settembre 2018
PALERMO
Il Papa a Palermo: “Cambiate! Convertitevi al vero Dio di Gesù Cristo”
di Daniele Fazio
![alt](public/foto_mini/rorl160918_a.jpg) Palermo
regala al Papa e ai fedeli una splendida giornata, tipicamente siciliana. Sono
circa centomila le presenze. Quaranta vescovi, settecento sacerdoti, religiose,
religiosi e diaconi, duecento seminaristi. Tantissimi i giovani che hanno
celebrato una tappa verso il prossimo Sinodo. Nel contesto del Foro italico, il
Santo Padre Francesco celebra la Messa, ricordando il 25° Anniversario dell’omicidio
del beato Pino Puglisi, uomo “mite, ma non ingenuo” come ha ricordato l’arcivescovo
di Palermo, Corrado Lorefice. Il Pontefice è giunto da Piazza Armerina, ove di
buon mattino ha voluto visitare brevemente questa piccola diocesi, situata al
centro della Sicilia, ricordando che è il Vangelo la soluzione di ogni crisi
personale e sociale. Al Foro Italico, spicca sull’altare il colore rosso dei
paramenti dei concelebranti. È il segno del martirio, della donazione estrema
della vita per testimoniare la fede. Questo è quello che ha fatto don Pino
Puglisi.
“Lui – ha detto Francesco nell’omelia – non viveva per farsi vedere, non viveva di
appelli antimafia, e nemmeno si accontentava di non far nulla di male, ma
seminava il bene, tanto bene”. Questo perché non è stato un egoista, ma ha
vissuto nell’amore di Cristo, perché “il
pericolo vero nella vita è non rischiare, è vivacchiare, tra comodità, mezzucci
e scorciatoie”. Bisogna, perciò, ha pregato Francesco, avere “il desiderio di fare il bene; di cercare la
verità detestando le falsità; di scegliere il sacrificio, non la pigrizia; l’amore,
non l’odio; il perdono, non la vendetta”. Infine, sulla scia dei predecessori,
si è rivolto ai mafiosi non con una mera denuncia e neanche con una
inappellabile condanna – saranno rimasti delusi forse i “professionisti dell’antimafia”
–, ma con un appello che apre un percorso educativo e di redenzione, che è
possibile e doveroso per i malavitosi: “Ccambiate!
Smettete di pensare a voi stessi e ai vostri soldi, convertitevi al vero Dio di
Gesù Cristo! Altrimenti, la vostra stessa vita andrà persa e sarà la peggiore
delle sconfitte”.
Dopo
la celebrazione eucaristica, il Pontefice ha fatto visita alla Comunità di
Biagio Conte “Missione Speranza e Carità”, ove ha incontrato gli ospiti della
casa e con loro ha voluto pranzare. Quindi, subito alle ore 15.00, presso
Brancaccio, ha sostato in preghiera presso il luogo dell’uccisione di Padre
Puglisi, presso la parrocchia San Gaetano. L’altro appuntamento con il clero, i
religiosi e i seminaristi in Cattedrale alle ore 15.30. Partendo dall’esempio
di don Puglisi, il Papa ha consegnato ai sacerdoti due grandi parametri: l’eucarestia
e la confessione. Coltivando una spiritualità eucaristica i sacerdoti possono
vaccinarsi da tante patologie che potrebbero affliggere il ministero:
carrierismo, burocratismo, chiacchiericcio. Ha incalzato Francesco nel suo
Discorso – con molte interruzioni in cui ha proseguito a braccio –, “si possono fare tante discussioni sul
rapporto Chiesa-mondo e Vangelo-storia, ma non serve se il Vangelo non passa
prima dalla propria vita. E il Vangelo ci chiede, oggi più che mai, questo:
servire nella semplicità”.
Infine,
a Piazza Politeama l’ultimo bagno di folla siciliano con la Chiesa giovane. Tre
giovani pongono delle domande cui il Papa nel suo Discorso risponderà.
Prendendo la parola, Francesco confessa una certa stanchezza dopo una intensa
giornata, ma col sorriso inizia il suo dialogo con i giovani. “Il Signore non si ascolta stando in
poltrona! […] Dio si scopre camminando […] Dio ama l’azione – così, scuote
i giovani dell’Isola il Pontefice –. Dio
parla ora nella relazione […] vi ama quanto più di quanto voi vi amate”.
Bisogna, così, prendere il largo, non stare in panchina o in tribuna. Ma
bisogna mettersi in gioco. Il dramma della vita non è donarla, ma non metterci
la faccia: “meglio Don Chisciotte che
Sancho Panza!”. “Camminare, cercare, sognare” sono le parole che Francesco
consegna ai giovani. Quindi, concretamente bisogna favorire gli incontri e ciò
deriva dalla fede, perché Dio è venuto a incontrarci. La Sicilia al centro del
Mediterraneo vive questa vocazione. È un popolo con una identità grande.
Apertura e accoglienza sì, ma anche integrazione, aggiunge a braccio il
Pontefice.
Questo
è frutto dell’amore “non l’amore
sentimentale, da telenovela, ma quello concreto del Vangelo”. Su questa
scia, dunque, i giovani devono essere “costruttori di futuro”, per questo ci vogliono
uomini e donne vere. No, dunque, al gattopardismo! I giovani – per Francesco –
sono “albe di speranza” e per realizzare ciò occorre rifiutare fatalismo e
rassegnazione, perché tutto può cambiare. Si può generare una civiltà nuova, la
civiltà dell’amore. Non essere radicati nei valori del popolo cui si
appartiene, della famiglia cui si appartiene in dialogo con gli anziani è come
essere gassosi. Per combattere la crisi del nostro tempo, in conclusione,
occorrono radici da cui può fiorire la speranza per il futuro.
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