SPIRITUALITÀ E CULTURA
Rubrica di fatti, idee, documenti, curata da Rosa Maria Lucifora
di Rosa Maria Lucifora
La rubrica esordisce
con le “Riflessioni ad alta voce” dell’Arcivescovo
Santo Rocco Gangemi: sintesi dell’affascinante
conferenza tenuta lo scorso 21 aprile, a Messina, presso la Chiesa ‘dei
Catalani’, su un tema attuale e scottante: il confronto con l’Islam. Porremo tra virgolette le parole testualmente
pronunciate dal relatore, alternandole con una nostra parafrasi: rivolgendosi
alla Redazione di Filodirettonews, chi
lo desideri potrà ottenere il testo del discorso nella più ampia forma elaborata
dal relatore stesso: a lui, per il contributo intellettuale e la cortese
disponibilità nei confronti del nostro giornale un sentito grazie! E,
soprattutto, grazie per la fermezza dottrinale, la dedizione al servitium, la sollecitudine per gli
ultimi e gli afflitti, con i quali egli svolge il suo ministero pastorale.
1. Una premessa necessaria
Nunzio
Apostolico in Guinea e Mali, territori nei quali l’Islam è dominante, Mons.
Gangemi si definisce con modestia un «pragmatico»,
un «non esperto». Ma, mentre rinvia agli “oltre 900 Documenti che, da Giovanni XXIII a Francesco, trattano
dell'argomento in modo sistematico, pastorale, metodico, scientifico”, se
ne mostra profondo conoscitore. E ciò, del resto, è naturale per chi, a servizio
della Diplomazia Vaticana da circa un trentennio, ha sperimentato le realtà musulmane
nella loro varietà e disomogeneità. In breve, ma con grande competenza, egli dà
conto di un tormentato quadro che include la teocrazia illuminata del Marocco, dove
di recente è stato sancito il principio della tolleranza religiosa; l’eguaglianza
teorica davanti alla legge fra Musulmani e Cristiani in Egitto; il laicismo dei
governi di Guinea e Mali, sedi, appunto, della sua Nunziatura: qui, però, la
convivenza tra Cristianesimo e Islam (di tradizione sunnita) trova un aggravio
di criticità, a causa degli scontri fra etnie rivali.
2. Un archetipo: il dialogo nel Giardino dell’Eden
“Nella
tradizione ebraico-cristiana, è evidente che Dio per primo dà avvio al dialogo
con l’uomo, muove i suoi passi verso di lui. Il primo dialogo nasce con la
creazione e purtroppo ha l'epilogo che tutti conosciamo, con il peccato e la
conseguente cacciata dal Paradiso terrestre. Tuttavia Dio non si dà per vinto né
si ammutolisce, continua a dialogare fino ad inviare a noi la Sua stessa
Parola, per riallacciare il discorso con l'uomo lì dove il peccato lo aveva
irrimediabilmente compromesso. L'agire di Dio illumina e rafforza, riempendolo di significato, l'agire della Chiesa. Il dialogo non è quindi una
fatalità alla quale bisogna far fronte, un sillogismo andato a male o, ancora
peggio, un segno di debolezza, ma speranza e riconoscimento di un dono gratuito di Dio”.
Naturalmente, perché la Chiesa acquisisse contezza di questo, sono occorsi
un lungo tempoe un lungo cammino, è dunque imperativo che non valutiamo il
passato con «gli occhiali» del
presente, e impariamo piuttosto a leggere i segni dei tempi. «Come ci ricordava il saggio Qoelet “Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo
momento per ogni faccenda sotto il cielo”.
3. Gli inizi conciliari
Uno sguardo al
problema in prospettiva diacronica convince che, nonostante i conflitti e i malintesi,
si fa sempre più evidente la volontà di confronto: dal primo quarto del XX
secolo, e più distintamente “nel clima
del Concilio Vaticano II”, essa produsse “l’allacciamento di relazioni diplomatiche con Paesi di origine o a
maggioranza musulmana”, e quindi alla nascita di Internunziature. Così in
Liberia, Egitto, Libano, Indonesia, Pakistan, Iran e Siria; intanto, Giovanni
XXIII «tende la mano al lontano», annunciando un punto centrale nel Pontificato di Paolo VI,
nuovo “Apostolo delle Genti”: “si è iniziata così ufficialmente, nella
Chiesa cattolica, la strada del dialogo, compreso con le religioni non
cristiane”. “La ‘Nostra aetate’ spiega
bene che la ragion d’essere di queste relazioni è l’unità della famiglia umana,
non solo in senso dia-logico, ma anche in senso teo-logico. Unità nell’origine,
unità nel fine ultimo, e unità nella “riconciliazione” e nella salvezza
realizzata nella storia da Gesù Cristo, unico Salvatore del genere umano”.
Ed ecco che “il dialogo si è imposto come uno stile
nuovo nella missione evangelizzatrice della Chiesa”, e che alla sua «missione ... nel mondo si spalancano nuovi
orizzonti». Ormai, “le religioni non cristiane non dovevano più
essere considerate come concorrenti o come ostacoli all’evangelizzazione, ma
come zone di vivo e rispettoso interesse, nonché di un’amicizia futura e già
cominciata”.
. 4.Lo scopo del dialogo
Paolo
VI era persuaso, e ripeteva spesso, che scopo del dialogo sia “manifestare agli uomini l’amore di Cristo”,
e che tocchi alla Chiesa compiere gesti, simbolici e materiali, verso la riconciliazione
e la solidarietà tra gli uomini di religioni diverse. Iniziò pertanto la
costruzione di una vera e propria “cultura del dialogo”, proseguita da Giovanni
Paolo II, che vi mostrò la risposta “al
disegno di unità di Dio sulla famiglia umana”. Ancora, Benedetto XVI propose
“la
carità nella verità” quale chiave di un «processo di globalizzazione mondiale» che cerca e, guidata dallo
Spirito Santo, trova modi “per promuovere
relazioni di universale fraternità tra gli uomini”. Per il Papa emerito, “la libertà religiosa è un diritto sacro e inalienabile». Quanto a
Papa Francesco è, in armonia con i suoi predecessori, sin dagli esordi del suo
Pontificato, assai attento a un tema che, in questo momento storico, è divenuto
nodale per la nostra civiltà. Egli si è fatto con parole, con atti concreti di
solidarietà e con l’esempio, “testimone
eloquente che il ‘dialogo è incontro e
amicizia’”.
“Tenendo ben fermo il timone del dialogo
interreligioso, i Pontefici hanno saputo mantenere viva la tensione tra
l’accoglienza e l’offerta, tra l’ascolto e l’annuncio, tra l’affermazione della
propria identità e il rispetto dell’alterità, ma soprattutto hanno saputo
invitare i Cattolici ad unirsi ai non Cristiani per “cooperare senza violenza e
senza pregiudizi alla costruzione del mondo in una pace autentica” secondo le
indicazioni conciliari”.
5. Il
dialogo è possibile?
Ma – prosegue Mons. Gangemi – “navighiamo tra dialogo e paura e ai nostri giorni un fatto è innegabile: il
terrorismo di matrice islamica mina la credibilità del dialogo interreligioso. Certo
è che nulla sarà più come prima: le condizioni stesse della nostra vita, della
nostra sicurezza, sono mutate ... Senza cedere all’allarmismo, dobbiamo essere
consapevoli del rischio che corriamo”. Ed è pertanto “ragionevole domandarsi quali siano le cause, che potremmo definire
molteplici: povertà, guerre in Medio Oriente, e mancanza di prospettive”. Nonostante
ciò, sarebbe un grave errore ritenere “che
tutti i Musulmani siano terroristi. Molti di essi, che vivono l’islam non solo
come sottomissione a Dio, ma anche come convivenza pacifica, denunciano lo
sfruttamento ideologico della loro religione da parte di gruppi fondamentalisti”.
Pertanto, “si deve fare di tutto per
scongiurare l’odio” e per “mantenere un
dialogo nella verità” - secondo
le indicazioni di Benedetto XVI.
6. Le luci tra le ombre
E un errore
sarebbe negare che l’impegno dei Pontefici e della Chiesa tutta abbia dato i
suoi risultati: paradigmatica, da questo punto di vista, la ripresa delle
relazioni diplomatiche con al-Azhar, dopo un ‘gelo’ di otto anni. L’evento,
suggellato dalla visita ufficiale di Papa Francesco a quella storica
Università, era stato preceduto da quella in Vaticano del Grande Imam di
al-Azhar, Ahmed al-Tayyib. E risultati positivi hanno recato anche varii “incontri tenutisi a Madrid, in Giordania e
in Iran, durante i quali si sono potute affermare alcune convinzioni condivise
circa la preghiera, la dignità della persona umana, la difesa della vita e
della famiglia”.
Altri,
notevolissimi, ne hanno recato iniziative partite dal mondo islamico, quali la
fondazione dell’International Dialogue
Centre (KAICIID, dal 2012); la creazione di un Forum islamo-cattolico (dal 2007); e ancora il pronunciamento dell’egiziana
Dar al Ifta al Misryah, riguardo
al fatto “che, secondo i precetti
coranici è legittimo per i cristiani costruire chiese nei Paesi di tradizione islamica”.
Parallelamente, “l’alta commissione
religiosa del Marocco ha dichiarato che nel Paese sarà possibile cambiare il
proprio credo senza rischiare conseguenze penali”. L’apostasia è così
riconosciuta come un fatto di coscienza e non come un reato. La sfida più
ardua, indubbiamente resta “quella dei Cristiani
dell’Iraq e della Siria, minacciati nella loro stessa esistenza, con centinaia
di migliaia di vittime tra morti, rapiti, sfollati, ed emigrati”. Criticità
gravissima, alla quale si potrebbero aggiungere quelle dei diritti umani e della
condizione femminile; eppure, “dobbiamo
essere disponibili a praticare il dialogo in primo luogo nei contatti
quotidiani, nel condominio, a scuola o all’università, e al lavoro”.
7. Che cosa è il dialogo interreligioso?
Ora, se il dialogo
interreligioso non è una «conversazione
tra amici», non è neanche un negoziato fra nemici, semmai: “consiste nel creare uno spazio di
testimonianza tra credenti, che faciliti una migliore conoscenza della
religione dell’altro e dei comportamenti etici che ne conseguono”. È un “fare insieme per favorire la comprensione
reciproca, la pace e la collaborazione tra i popoli”. “Come ebbe a dire papa Giovanni Paolo II a Kaduna in Nigeria: “Crediamo
tutti in un solo Dio Creatore dell’Uomo. Acclamiamo la signoria di Dio e
difendiamo la dignità dell’uomo in quanto servo di Dio. Adoriamo Dio e
professiamo una sottomissione totale a lui. In questo senso possiamo dunque
chiamarci gli uni gli altri fratelli e sorelle nella fede in un solo Dio. E gli
siamo grati per questa fede, perché senza Dio la vita dell’uomo sarebbe come un
cielo senza sole”.
Ora, “nel dialogo interreligioso, la prima cosa
che si deve fare è testimoniare la
propria fede; il Cristiano dev’essere capace di rendere ragione del proprio
credo”: è assolutamente fondamentale che egli sappia rifuggire pratiche
sincretistiche, che, lungi dal costituire un merito, al contrario ne rivelano la
“formazione lacunosa”, creando situazioni altamente imbarazzanti. Esemplari,
in tal senso, i casi nei quali “in nome
della solidarietà, della fraternità o della fede nel Dio unico, locali
parrocchiali e, a volte, edifici religiosi, hanno accolto Musulmani per la
preghiera, trascurando che dove i Musulmani pregano insieme, questo è il primo segnale che quel territorio
potrà essere prima o poi rivendicato come musulmano”. Oppure certi casi,
anche su suolo italiano, di recitazione nelle chiese di “brani del Corano”, addirittura, durante le funzioni natalizie, della “sura della nascita di Gesù”.
8. Una sfida culturale.
“A questo punto sono chiare quelle che potremmo definire le sfide per il domani, che ridurrei principalmente a tre: 1) la sicurezza, che
deve essere garantita dai poteri pubblici;2) l’educazione, chiave di un futuro
più pacifico, che necessita di essere promossa e facilitata; 3) una pastorale
che miri alla formazione dottrinale e spirituale dei Cristiani”.
Una corretta e costante catechesi farà sì
che ogni Cristiano sia in grado di esporre le ragioni della fede, di sostenerne
una “apologia”: di nuovo, come fecero
i fratelli dei primi secoli, o fanno quelli
di tante regioni del mondo, nelle quali il Cristianesimo è appena tollerato o,
addirittura, perseguitato. Del resto, se “nei
secoli passati gli scambi culturali tra Giudaismo ed Ellenismo, tra mondo
romano e germanico e mondo slavo, come anche tra mondo arabo e mondo europeo,
hanno fecondato la cultura favorendo scienze e civiltà”, è perché “gli interlocutori ... erano coscienti della
loro fede e del loro patrimonio culturale / cultuale”!
“Pur riconoscendo ciò che vi può essere di
vero e santo nell’insegnamento e nelle pratiche delle diverse religioni, proclamiamo senza esitazioni che Gesù Cristo
è l’unico Salvatore! Allo stesso tempo, riconosciamo come “Dio, attraverso vie che lui solo conosce,
possa portare gli uomini che senza loro colpa ignorano il Vangelo...a quella
fede “senza la quale è impossibile piacergli”. Noi abbiamo il dovere di proporre (senza imporre) quello che noi stessi
abbiamo ricevuto da Dio: la verità e l’amore .... di dire al non Cristiano che
cosa di unico c’è nel Cristo”. Abbiamo il dovere, insomma, di sottrarci al “rischio di sincretismo”, pur “senza trascurare ... che Dio si è
manifestato in qualche modo anche ai membri delle altre religioni ... ne
consegue una realtà importante: il dialogo non può e non deve escludere la
possibilità della conversione, nel rispetto della dignità e della libertà di
ogni persona umana”.
È incoraggiante sentire da questo “pragmatico”, che ha profuso e quotidianamente profonde risorse di
intelligenza ed energia per la reciprocità nel rispetto tra le due fedi, che il
dialogo è possibile, malgrado le difficoltà, i fraintendimenti, le
contraddizioni, malgrado sia insidiato e, a volte, interrotto dalla diffidenza
e dall’ignoranza. E che, mentre in epilogo al suo discorso ci rivolge il monito
a non rinunciare ai valori del Cristianesimo, a non negoziarli e dissimularli,
a viverli con orgoglio e fedeltà, ci richiama alla mitezza con l’auspicio di Papa
Francesco, che “siano le religioni grembi di vita, che portino la
tenerezza misericordiosa di Dio all’umanità ferita e bisognosa; siano porte di speranza, che aiutino a
varcare i muri eretti dall’orgoglio e dalla paura”.
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