SPIRITUALITÀ E CULTURA: FATTI, IDEE, DOCUMENTI
Nel segno di Francesco, anzi nel segno di Gesù: breve, intensa vita di Angelina Lo Dico, terziaria francescana
di Rosa Maria Lucifora
La
leggenda francescana vuole che, quando Clara d’Assisi prese la tonsura entrando
in religione, suo intento fosse diventare uno tra i tanti frati di Francesco.
In verità, per tale l’ebbero i primi compagni e il poverello stesso che ne
stimavano i consigli e la cultura e ne ricercavano l’affetto anche oltre i
limiti concessi dalla vita claustrale. Ma di apostolato per il mondo, neanche a
parlarne: se fosse vissuta agli inizi del XX secolo, la Madre Serafica avrebbe
potuto – come in effetti voleva – seguire Francesco, ed essere una sorta di Madre
Teresa, in mezzo ai ‘piccoli’ e agli ‘ultimi’, portando tra loro l’amore di
Cristo, servendoli e onorando in loro la Sua immagine. Invece, si consegnò
dinanzi al Crocifisso di San Damiano al ‘martirio’ incruento della clausura:
nella “dolce chiostra” – così la chiama Dante – sarebbe stata al sicuro la
verginità consacrata sua e delle compagne che, ben presto, accorsero a lei a
schiere (e non solo in Italia).
Sebbene
rinchiuse in convento, però, le sore di Chiara non si accontentarono di pregare
e meditare le Scritture; lavoravano con le proprie mani, accogliendo i laici
per catechizzarli, sfamarli, lavarli, assisterli, curarli, con i mezzi della
carità ricevuta e restituita, e, talora, con i mezzi del miracolo. Insisto
sulla parola, tanto più perché essa provoca, troppo spesso, una reazione di
sufficienza in molti cristiani: eppure, di miracoli non può fare a meno chi
creda nel Vangelo, che non solo illustra gli interventi del Signore nella vita
umana, ma incoraggia a richiederli. Ora, consiste nel Vangelo vissuto alla
lettera l’esempio che San Francesco d’Assisi praticò e raccomandò ai suoi
seguaci: fossero essi chierici, o laici. Quanto a questi egli preparò per loro,
se non egli stesso fondò – secondo la pia tradizione – quello che per secoli fu
detto Terz’Ordine Francescano e che, mutato il nome in Ordine Francescano
Secolare, non muta la richiesta ai suoi membri: annunciare e vivere il Vangelo
in umiltà, solidarietà, amore, fede ardente in Cristo, obbedienza alla Chiesa.
Scrivo
queste righe non già per tesser l’encomio dell’Ordine al quale (indegnamente)
mi pregio di appartenere, piuttosto per attirare l’attenzione su una sua
figlia, riassumendone in breve la storia: una storia di santità quotidiana,
quella di Angelina Lo Dico, che potrebbe mutarsi in storia di santità canonica,
se così sarà deciso dalle autorità ecclesiastiche. Qualche anno fa, essa mi è
stata resa nota perché la rendessi nota, dall’amico don Michele Leone, parroco
di Pisticci, e dalla dott.ssa Tiziana Silletti, giovane madre ed educatrice
cristiana. Li ringrazio per avermi permesso questa ‘scoperta’, della quale
desidero far partecipi i lettori di “FiloDirettoNews”. E ringrazio il prof.
Arcangelo Vullo, storico per mestiere e per passione, che con pazienza, amore,
e onestà intellettuale, ha messo insieme (e mi ha inviato) una raccolta di testimonianze
biografiche, dalle quali va ricavando un libro: frutto del lavoro di lunghi
anni, basato sulle interviste a vecchi e vecchissimi (oggi defunti), sulla
consultazione di archivi comunali e parrocchiali, a Pisticci e nella piccola
frazione di Tinchi (dove Angelina insegnò), e a Marianopoli (dove era nata e
morì).
E
ancora sulle carte dei signori Lo Dico e sulle memorie di don Luciano Vullo
(suo prozio), parroco di Marianopoli all’epoca dei fatti: memorie davvero
preziose, queste, perché l’ottimo don Luciano era anche la guida spirituale
della dolce, eroica, Angelina, e a lui toccò il compito, nell’elogio funebre,
di tracciare una prima sintesi di quella vita esemplare. L’impegno del prof.
Arcangelo ha portato a un notevole dossier, del quale è meritevole, oltre al
buon ricordo dei testimoni, un misterioso filo della Provvidenza: ne promana un
inconfondibile odore di santità, che spiega perché il ‘caso’ di Angelina si
trovi all’attenzione di mons. Mario Russotto, vescovo di Caltanissetta, che lo sta
valutando, con prudenza e amorevolezza, in vista di un possibile processo
canonico.
Gli
anni terreni di Angelina sono 32, trascorsi in terre marginali, di estrema
povertà: all’epoca, Marianopoli e Pisticci, oggi cittadine fiorenti e ricche di
cultura, erano abbastanza diverse, e diversa era specialmente Tinchi, minuscola
frazione di contadini e pastori, che accolse la giovane per poi ricordarla a
lungo come la maestra santa. Sono gli anni fra le due Guerre Mondiali, nei
quali disagio, analfabetismo, bisogno sono acutissimi, nel Sud più che altrove.
Ma sono anche gli anni della Teologia di Vicarietà, raccomandata dalla Madonna
che, apparsa a Fatima, esorta i buoni a riparare, con la preghiera e il
sacrificio, gli oltraggi arrecati dai malvagi ai Santissimi Cuori: si facciano
essi ‘vittime’, volontariamente, come Lui s’era fatto. Un invito, questo, di
peculiare rilevanza per il Terz’Ordine, i cui membri sono (o, purtroppo,
dovrebbero essere) “fratelli e sorelle della penitenza”; un invito cui la
Chiesa dà risonanza con voci autorevoli, a partire da quella del pontefice Pio
XI, e non meno conta esempi convincenti, quali P. Leopoldo Mandic, e P. Pio da
Pietrelcina. E, forse, proprio P. Pio potrebbe aver contribuito a ispirare
Angelina che, in Basilicata, poteva esserne raggiunta dalla fama ben più di
quanto non lo fosse a Marianopoli: allora – non dimentichiamolo – non
esistevano i mass-media e le comunicazioni circolavano lente, con mezzi poco
più che locali, per non parlare della deformazione e dei fraintendimenti dei
quali gli atti P. Pio furono, a tratti nella sua vita, esposti.
Partita
da una comunità povera, Angelina trova una comunità indigente: borghese
istruita in collegio, ben educata, ha pena delle turbe afflitte dall’ignoranza,
dalla mancanza di cibo e di igiene, dalle malattie. E si spende, senza
risparmiarsi: insegna a leggere, scrivere, far di conto, insegna la dottrina e
sfama, veste, cura, non solo i piccoli alunni, ma anche i loro parenti, con le
proprie infaticabili energie e... a proprie spese. Insomma, sorella Chiara –
questo il nome di Terziaria – aveva preso sul serio il voto pronunciato all’ingresso
nell’Ordine, di predicare e vivere il Vangelo. La Prima Guerra Mondiale, dopo
tutto, aveva radicalmente mutato il costume europeo: si era dovuto, gioco
forza, accettare che le donne potessero staccarsi dal focolare, per svolgere
compiti ‘maschili’ e muoversi autonomamente nella società, senza la tutela di
padri, fratelli, mariti. Gli agiati Lo Dico non furono entusiasti di questa
svolta nella vita della ragazza e, insistentemente, le chiesero di tornare a
Marianopoli; tuttavia, non le mostrarono ostilità e finirono per comprendere e
accettare anche quando ella fece un passo apprezzato, ma non richiesto, alle
sorelle del Terz’Ordine: si votò alla verginità consacrata, persuadendo il
fidanzato – al quale pure era molto affezionata – che non al matrimonio era
chiamata, ma ad altro.
A
casa, infine, ci tornò, perché gravemente malata e non più in grado di
affrontare gli stenti ai quali si era sottoposta per amore del prossimo; ma,
anche così, continuò a praticare il Vangelo sine
glossa, testimoniando con la carità e
la preghiera: senza risparmio e senza posa accanto ai poveri e ai malati, ai
moribondi, ai disperati, recitando con loro il Santo Rosario, chiedendo
fiduciosamente intercessioni di Grazie, e non poche volte – ci garantiscono i
testimoni – venendo accontentata. Ecco, quindi, un paradigma ordinario di
Cristianesimo, ma non esattamente ‘normale’, che non deve e non può essere
dimenticato. Quand’anche non dovesse avverarsi l’attesa della canonizzazione,
esso ci suggerisce una santità silenziosa e discreta, ma necessaria nella
misura in cui è fedele al carisma di San Francesco d’Assisi, vale a dire, nella
misura in cui è fedele al Vangelo: quanto al fatto di esser realizzata nello
stato laicale, è bene non dimenticare che Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, e
adesso Francesco, tre pontefici dotati di carismi assolutamente dissimili l’uno
dall’altro, ne hanno egualmente ribadito, con la predicazione e con le
elevazioni agli altari, i potenziali di santificazione: consapevoli, del resto,
che appunto laici furono santi grandemente venerati, sin dalle origini: da
Tecla e Perpetua, a Elisabetta di Turingia, a Rocco di Montpellier, e via via a
tanti altri, che celebriamo l’1 novembre, giorno simbolico nel quale Angelina,
lasciato questo mondo, tornò alla Casa del Padre.
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