IL DESERTO. UN PAESAGGIO SPIRITUALE
Il paesaggio naturale del deserto, l’Antico Testamento e Gesù
di Sergio Gerardo Americano
Spontaneamente,
quando si pensa al deserto, affiora alla mente tutto quello che è contrario
alla vita: sole fortissimo, notti spesso rigide, assenza di vegetazione,
assenza di acqua, luogo di pericoli, di insidie, di animali pericolosi. Gli
uomini di ogni tempo l’hanno sempre visto con paura e curiosità: paura, perché
è quanto di più lontano ci possa essere dall’immagine che in genere si ha della
terra abitata; curiosità, perché i confini incerti e l’apparente assenza di
punti di riferimento hanno sempre stimolato la fantasia degli uomini, che hanno
visto il deserto come il regno delle esperienze più strane, dei viaggi più
incredibili, delle scoperte più sensazionali.
Tutto
questo non è del tutto assente nella Bibbia (si pensi al libro dell’Esodo), per
la quale, al contrario, il deserto è l’ambientazione di alcuni dei momenti
fondamentali della storia del Popolo Eletto, il quale, subito dopo l’uscita
dall’Egitto, si sposta per quarant’anni in una regione arida, difficile da
abitare e ancor più da coltivare, l’esatto contrario di quello che nel lungo
periodo di schiavitù si era immaginato a riguardo della Terra Promessa, valga
per tutti il famoso passo di Es. 16, 3: “Ci
avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa
moltitudine”.
Tuttavia,
se la Sacra Scrittura dà una così grande importanza al deserto, ciò vuol dire
che questo non è una semplice scenografia, ma un luogo privilegiato dell’incontro
con Dio, perché è qui che Egli attira l’uomo, è qui che Egli parla, favorito in
modo particolare dall’assenza di distrazioni e, soprattutto, dal vero attore
principale del deserto: il silenzio. Già da questi pochi accenni vediamo come
la Scrittura superi, proprio non nascondendola, la concezione negativa che del
deserto ha l’uomo in generale, e, soprattutto, l’uomo ancora non aperto, ancora
diffidente verso l’azione dello Spirito di Dio. E su questa immagine e sul
significato che il deserto ha per Dio, e, quindi, anche per l’uomo che gli si
conforma, ritornano con insistenza forte e struggente i profeti.
In
Isaia 40, 3 il deserto è la via del Signore (“Una voce grida: “Nel deserto
preparate la via del Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio”),
la strada della liberazione del suo popolo, che è opera della sola misericordia
di Dio. Forse ancor più incisivo, sempre in questo senso, è quanto il Signore
proclama per bocca del profeta Osea (2, 16. 17b. 18b) al popolo paragonato a
una sposa infedele: “La condurrò nel
deserto e parlerò al suo cuore … Là mi risponderà come nei giorni della sua giovinezza, come quando
uscì dal paese d’Egitto. ... Mi chiamerai: ‘Marito mio’ e non mi chiamerai più: ‘Baal, mio padrone’”.
Vediamo riassunti, in questi brevi versetti, tutta la premura e l’affetto del
Signore per il suo popolo, ma anche le varie tappe della riconciliazione di
Israele con Dio, che possiamo individuare nelle parole-chiave cuore, giovinezza
e chiamerai, le quali, a loro volta, evidenziano l’azione guaritrice di Dio sul
cuore dell’uomo, che abbraccia insieme il suo presente (il cuore, appunto), il
suo passato (la giovinezza, ossia l’alleanza del Sinai) e il suo futuro (la
vocazione alla comunione con Dio).
Sempre
nell’Antico Testamento e sempre sul tono di Osea, è la vicenda di Elia (1 Re
19, 1-18). Perseguitato e sfiduciato, chiede al Signore la morte, ma nel
deserto il Signore gli dà modo di approfondire sul serio la sua vocazione di
uomo di Dio, di confermare il cammino fin lì compiuto e di ritornare così sui
suoi passi, con una rinnovata fiducia nell’opera di Dio. Del deserto di
Giovanni il Battista, ultimo profeta, l’evangelista Luca (1, 80) dà un rapido,
ma essenziale profilo, che riassume la sua vita nascosta precedente alla
predicazione, e in cui si può vedere ancora come egli abbia incarnato e fatto
sue le parole di Osea che, nello spirito, possiamo trovare in questo breve
versetto: “Il bambino cresceva e si
fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua
manifestazione a Israele”.
L’esperienza
decisiva che fa del deserto un vero e proprio paesaggio spirituale è, però,
quella di Gesù, il quale, prima di cominciare la sua predicazione e subito dopo
il Battesimo nel Giordano, si reca nel deserto “per essere tentato dal diavolo” (Mt 4, 1-11). Scrive il noto
biblista Klaus Berger: “Grazie a Gesù
sappiamo che dove inizia il silenzio non c’è soltanto Dio, ma anche il
diavolo... Il silenzio è
indispensabile per non confondere la Parola di Dio con la propria. Nella
preghiera solitaria, infatti, Gesù
non tiene un comizio a Dio, ma tace, finché non lo sente parlare”. Non è un
caso, infatti, che Gesù controbatta al tentatore usando parole della Scrittura
e non parole proprie o di circostanza, tratto di stile che i Padri della Chiesa
e i Padri del Deserto non si stancheranno di sottolineare e da cui trarre una
fondamentale indicazione di vita spirituale.
Il deserto e il
monachesimo in Egitto e Palestina (sec. IV-VI)
Riprendendo
ancora il brano di Osea 2, 16-18, possiamo in un certo senso leggere l’essenza
del monachesimo cristiano, forse semplificando un po’, proprio nel tentativo di
incarnare queste parole così suggestive, cariche di significato, ma anche di
sequela impegnativa. Esso, infatti, ha inteso rivivere e rinnovare il “deserto
di Gesù”, alla ricerca della “perfezione” della vita cristiana, ossia della
totale assimilazione a Lui, respingendo tutto quanto potesse essere di
impedimento a una forte, significativa e autentica esperienza di Dio.
È
così, dunque, che in Egitto, a partire dalla seconda metà del III secolo,
questa forma di vita diventa sempre più ricercata e si affermano veri e propri
campioni della vita monastica e, soprattutto, grandi maestri della spiritualità
di tutti i tempi: Antonio, Pacomio, Arsenio, Macario, Evagrio Pontico. Grazie a
questi monaci il deserto posto sulla riva destra del Nilo (Tebaide) e quello
immediatamente a sud-ovest di Alessandria d’Egitto (Nitria, Scete e Kellia),
divengono con il tempo delle costellazioni di monasteri che assomiglieranno
sempre più a vere e proprie città, un’idea questa che è presente già in uno dei
testi più importanti della letteratura monastica: la Vita di Antonio, scritta
da Atanasio, patriarca di Alessandria (295-373).
Anche
in Palestina, a partire dalla fine del IV secolo, a motivo, soprattutto, dell’attrazione
sempre più crescente esercitata dai Luoghi Santi, si assiste a un fenomeno
simile che interessa in particolare il Deserto di Giuda, a sud-est di
Gerusalemme e Betlemme. Qui, dopo le significative esperienze di Rufino di
Aquileia e, soprattutto, di San Girolamo, per il monachesimo di lingua latina,
e di San Caritone per quello di lingua greca, a partire dalla seconda metà del
V secolo, monaci di lingua greca (seguiti a stretto giro da altri di lingua
siriaca, armena e georgiana) cominciano a popolare la regione semi-desertica
prospiciente la Città Santa, profili che rispondono ai nomi di Eutimio,
Gerasimo, e, soprattutto, Teodosio e Saba, fondatore e ispiratore quest’ultimo
di un’estesa rete di insediamenti monastici, a cominciare dalla Grande Laura
che porta il suo nome, fondata nel 483.
Il deserto e il regno di Dio
Nei
monasteri del Deserto di Giuda, soprattutto nei secoli V e VI, viene raccolta e
organizzata gran parte della sapienza e della spiritualità degli antichi padri
egiziani nei Detti dei Padri del Deserto, antologia di detti e aneddoti che
toccano i più svariati temi della spiritualità: la preghiera, il digiuno, la
solitudine, il silenzio, i vizi capitali (ai quali è aggiunta, rispetto al
nostro elenco tradizionale, la tristezza), la lotta contro le tentazioni, il
dubbio, la direzione spirituale, la fede, la carità, l’amore di Dio. Un detto
attribuito ad Antonio il Grande recita: “Disse
ancora (il padre Antonio): Chi siede nel deserto per custodire la quiete con Dio è liberato da tre guerre:
quella dell’udire, quella del parlare e quella
del vedere. Gliene resta una sola: quella del cuore”. È in questa guerra
del cuore che s’impara ad ascoltare Dio, a percepire e riconoscere i segni
della sua presenza, e a seguire i suoi passi lungo una strada tutt’altro che
indolore, che conosce tentazioni e fallimenti, ma che è anche la strada
percorsa dalla Parola di Dio per venire incontro all’uomo che, quanto più è
capace di questa parola di vita, tanto più è in grado di trasmetterla ad altri
e di trasmettere più di ogni cosa una profonda nostalgia di Dio. Il silenzio
del deserto genera la parola del monaco, che viene ricercata, quasi inseguita
da discepoli, uomini in ricerca, o anche semplici curiosi, perché profuma di
Dio.
E
questo profumo viene dalla somiglianza sempre maggiore della parola del monaco
alla parola creatrice della grazia di Dio, che trasforma, quindi, il luogo
inospitale, ostile alla vita e pericoloso, in un luogo paradossalmente
accogliente, fertile e addirittura sicuro, una nuova forma di vita, in cui il
primo posto spetta a Dio e a Dio solo. “Ecco,
io faccio nuove tutte le cose”, leggiamo in Apocalisse 21, 5. Il deserto
diventa, per così dire, la fucina della nuova creazione, della nuova umanità
redenta da Cristo, un’anticipazione della dimora di Dio con l’uomo. Dio
trasforma il deserto in giardino, quel giardino che ritroviamo all’inizio della
Genesi, ma anche ai piedi del Calvario, dove si trova il Sepolcro e dove Gesù
Risorto appare a Maria Maddalena vestito da “giardiniere” (“in hortulani habitu”). La nuova
creazione, il nuovo giardino, è anche la dimora, la tenda di Dio (anche questo
un ricordo del deserto!) con gli uomini, la Gerusalemme celeste di Apocalisse
21, che ai vv. 3-4 è forse l’immagine più potente del regno di Dio: “Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed
essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio. E asciugherà ogni lacrima dai loro
occhi, e non vi sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono
passate”.
L’autore
Sergio
Gerardo Americano è un giovane, brillante, ricercatore, dottorando all’Università
della Basilicata nel campo della Filologia Greco-Latina: appassionato di
Letteratura Cristiana Antica, ha ormai lunga familiarità con il Nuovo
Testamento e la Patristica Greca, e ha pubblicato svariati saggi su riviste di
rilevanza internazionale; ha, inoltre, in dirittura d’arrivo una monografia
dedicata a Sant’Ignazio di Antiochia. Da questi studi, le pagine che seguono
sul tema (letterario e spirituale) del ‘deserto’, donateci intenzionalmente
nell’approssimarsi della Quaresima, per “condividere
alcune riflessioni con i lettori di ‘FiloDirettoNews’
e farci giungere – riporto letteralmente da un suo messaggio – qualche piccolo spunto di riflessione e di approfondimento”.
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