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 martedì 13 febbraio 2018

IL DESERTO. UN PAESAGGIO SPIRITUALE

Il paesaggio naturale del deserto, l’Antico Testamento e Gesù

di Sergio Gerardo Americano


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Spontaneamente, quando si pensa al deserto, affiora alla mente tutto quello che è contrario alla vita: sole fortissimo, notti spesso rigide, assenza di vegetazione, assenza di acqua, luogo di pericoli, di insidie, di animali pericolosi. Gli uomini di ogni tempo l’hanno sempre visto con paura e curiosità: paura, perché è quanto di più lontano ci possa essere dall’immagine che in genere si ha della terra abitata; curiosità, perché i confini incerti e l’apparente assenza di punti di riferimento hanno sempre stimolato la fantasia degli uomini, che hanno visto il deserto come il regno delle esperienze più strane, dei viaggi più incredibili, delle scoperte più sensazionali.

Tutto questo non è del tutto assente nella Bibbia (si pensi al libro dell’Esodo), per la quale, al contrario, il deserto è l’ambientazione di alcuni dei momenti fondamentali della storia del Popolo Eletto, il quale, subito dopo l’uscita dall’Egitto, si sposta per quarant’anni in una regione arida, difficile da abitare e ancor più da coltivare, l’esatto contrario di quello che nel lungo periodo di schiavitù si era immaginato a riguardo della Terra Promessa, valga per tutti il famoso passo di Es. 16, 3: “Ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine”.

Tuttavia, se la Sacra Scrittura dà una così grande importanza al deserto, ciò vuol dire che questo non è una semplice scenografia, ma un luogo privilegiato dell’incontro con Dio, perché è qui che Egli attira l’uomo, è qui che Egli parla, favorito in modo particolare dall’assenza di distrazioni e, soprattutto, dal vero attore principale del deserto: il silenzio. Già da questi pochi accenni vediamo come la Scrittura superi, proprio non nascondendola, la concezione negativa che del deserto ha l’uomo in generale, e, soprattutto, l’uomo ancora non aperto, ancora diffidente verso l’azione dello Spirito di Dio. E su questa immagine e sul significato che il deserto ha per Dio, e, quindi, anche per l’uomo che gli si conforma, ritornano con insistenza forte e struggente i profeti.

In Isaia 40, 3 il deserto è la via del Signore (“Una voce grida: “Nel deserto preparate la via del Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio”), la strada della liberazione del suo popolo, che è opera della sola misericordia di Dio. Forse ancor più incisivo, sempre in questo senso, è quanto il Signore proclama per bocca del profeta Osea (2, 16. 17b. 18b) al popolo paragonato a una sposa infedele: “La condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore … Là mi risponderà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d’Egitto. ... Mi chiamerai: ‘Marito mio’ e non mi chiamerai più: ‘Baal, mio padrone’”. Vediamo riassunti, in questi brevi versetti, tutta la premura e l’affetto del Signore per il suo popolo, ma anche le varie tappe della riconciliazione di Israele con Dio, che possiamo individuare nelle parole-chiave cuore, giovinezza e chiamerai, le quali, a loro volta, evidenziano l’azione guaritrice di Dio sul cuore dell’uomo, che abbraccia insieme il suo presente (il cuore, appunto), il suo passato (la giovinezza, ossia l’alleanza del Sinai) e il suo futuro (la vocazione alla comunione con Dio).

Sempre nell’Antico Testamento e sempre sul tono di Osea, è la vicenda di Elia (1 Re 19, 1-18). Perseguitato e sfiduciato, chiede al Signore la morte, ma nel deserto il Signore gli dà modo di approfondire sul serio la sua vocazione di uomo di Dio, di confermare il cammino fin lì compiuto e di ritornare così sui suoi passi, con una rinnovata fiducia nell’opera di Dio. Del deserto di Giovanni il Battista, ultimo profeta, l’evangelista Luca (1, 80) dà un rapido, ma essenziale profilo, che riassume la sua vita nascosta precedente alla predicazione, e in cui si può vedere ancora come egli abbia incarnato e fatto sue le parole di Osea che, nello spirito, possiamo trovare in questo breve versetto: “Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele”.

L’esperienza decisiva che fa del deserto un vero e proprio paesaggio spirituale è, però, quella di Gesù, il quale, prima di cominciare la sua predicazione e subito dopo il Battesimo nel Giordano, si reca nel deserto “per essere tentato dal diavolo” (Mt 4, 1-11). Scrive il noto biblista Klaus Berger: “Grazie a Gesù sappiamo che dove inizia il silenzio non c’è soltanto Dio, ma anche il diavolo... Il silenzio è indispensabile per non confondere la Parola di Dio con la propria. Nella preghiera solitaria, infatti, Gesù non tiene un comizio a Dio, ma tace, finché non lo sente parlare”. Non è un caso, infatti, che Gesù controbatta al tentatore usando parole della Scrittura e non parole proprie o di circostanza, tratto di stile che i Padri della Chiesa e i Padri del Deserto non si stancheranno di sottolineare e da cui trarre una fondamentale indicazione di vita spirituale.

Il deserto e il monachesimo in Egitto e Palestina (sec. IV-VI)

Riprendendo ancora il brano di Osea 2, 16-18, possiamo in un certo senso leggere l’essenza del monachesimo cristiano, forse semplificando un po’, proprio nel tentativo di incarnare queste parole così suggestive, cariche di significato, ma anche di sequela impegnativa. Esso, infatti, ha inteso rivivere e rinnovare il “deserto di Gesù”, alla ricerca della “perfezione” della vita cristiana, ossia della totale assimilazione a Lui, respingendo tutto quanto potesse essere di impedimento a una forte, significativa e autentica esperienza di Dio.

È così, dunque, che in Egitto, a partire dalla seconda metà del III secolo, questa forma di vita diventa sempre più ricercata e si affermano veri e propri campioni della vita monastica e, soprattutto, grandi maestri della spiritualità di tutti i tempi: Antonio, Pacomio, Arsenio, Macario, Evagrio Pontico. Grazie a questi monaci il deserto posto sulla riva destra del Nilo (Tebaide) e quello immediatamente a sud-ovest di Alessandria d’Egitto (Nitria, Scete e Kellia), divengono con il tempo delle costellazioni di monasteri che assomiglieranno sempre più a vere e proprie città, un’idea questa che è presente già in uno dei testi più importanti della letteratura monastica: la Vita di Antonio, scritta da Atanasio, patriarca di Alessandria (295-373).

Anche in Palestina, a partire dalla fine del IV secolo, a motivo, soprattutto, dell’attrazione sempre più crescente esercitata dai Luoghi Santi, si assiste a un fenomeno simile che interessa in particolare il Deserto di Giuda, a sud-est di Gerusalemme e Betlemme. Qui, dopo le significative esperienze di Rufino di Aquileia e, soprattutto, di San Girolamo, per il monachesimo di lingua latina, e di San Caritone per quello di lingua greca, a partire dalla seconda metà del V secolo, monaci di lingua greca (seguiti a stretto giro da altri di lingua siriaca, armena e georgiana) cominciano a popolare la regione semi-desertica prospiciente la Città Santa, profili che rispondono ai nomi di Eutimio, Gerasimo, e, soprattutto, Teodosio e Saba, fondatore e ispiratore quest’ultimo di un’estesa rete di insediamenti monastici, a cominciare dalla Grande Laura che porta il suo nome, fondata nel 483.

Il deserto e il regno di Dio

Nei monasteri del Deserto di Giuda, soprattutto nei secoli V e VI, viene raccolta e organizzata gran parte della sapienza e della spiritualità degli antichi padri egiziani nei Detti dei Padri del Deserto, antologia di detti e aneddoti che toccano i più svariati temi della spiritualità: la preghiera, il digiuno, la solitudine, il silenzio, i vizi capitali (ai quali è aggiunta, rispetto al nostro elenco tradizionale, la tristezza), la lotta contro le tentazioni, il dubbio, la direzione spirituale, la fede, la carità, l’amore di Dio. Un detto attribuito ad Antonio il Grande recita: “Disse ancora (il padre Antonio): Chi siede nel deserto per custodire la quiete con Dio è liberato da tre guerre: quella dell’udire, quella del parlare e quella del vedere. Gliene resta una sola: quella del cuore”. È in questa guerra del cuore che s’impara ad ascoltare Dio, a percepire e riconoscere i segni della sua presenza, e a seguire i suoi passi lungo una strada tutt’altro che indolore, che conosce tentazioni e fallimenti, ma che è anche la strada percorsa dalla Parola di Dio per venire incontro all’uomo che, quanto più è capace di questa parola di vita, tanto più è in grado di trasmetterla ad altri e di trasmettere più di ogni cosa una profonda nostalgia di Dio. Il silenzio del deserto genera la parola del monaco, che viene ricercata, quasi inseguita da discepoli, uomini in ricerca, o anche semplici curiosi, perché profuma di Dio.

E questo profumo viene dalla somiglianza sempre maggiore della parola del monaco alla parola creatrice della grazia di Dio, che trasforma, quindi, il luogo inospitale, ostile alla vita e pericoloso, in un luogo paradossalmente accogliente, fertile e addirittura sicuro, una nuova forma di vita, in cui il primo posto spetta a Dio e a Dio solo. “Ecco, io faccio nuove tutte le cose”, leggiamo in Apocalisse 21, 5. Il deserto diventa, per così dire, la fucina della nuova creazione, della nuova umanità redenta da Cristo, un’anticipazione della dimora di Dio con l’uomo. Dio trasforma il deserto in giardino, quel giardino che ritroviamo all’inizio della Genesi, ma anche ai piedi del Calvario, dove si trova il Sepolcro e dove Gesù Risorto appare a Maria Maddalena vestito da “giardiniere” (“in hortulani habitu”). La nuova creazione, il nuovo giardino, è anche la dimora, la tenda di Dio (anche questo un ricordo del deserto!) con gli uomini, la Gerusalemme celeste di Apocalisse 21, che ai vv. 3-4 è forse l’immagine più potente del regno di Dio: “Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio. E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi, e non vi sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate”.

L’autore

Sergio Gerardo Americano è un giovane, brillante, ricercatore, dottorando all’Università della Basilicata nel campo della Filologia Greco-Latina: appassionato di Letteratura Cristiana Antica, ha ormai lunga familiarità con il Nuovo Testamento e la Patristica Greca, e ha pubblicato svariati saggi su riviste di rilevanza internazionale; ha, inoltre, in dirittura d’arrivo una monografia dedicata a Sant’Ignazio di Antiochia. Da questi studi, le pagine che seguono sul tema (letterario e spirituale) del ‘deserto’, donateci intenzionalmente nell’approssimarsi della Quaresima, per “condividere alcune riflessioni con i lettori di ‘FiloDirettoNews’ e farci giungere – riporto letteralmente da un suo messaggio – qualche piccolo spunto di riflessione e di approfondimento”.



 


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