domenica 8 settembre 2019
RACCONTI
Poteva essere una “Caravella” la nave traghetto Cariddi
di Lillo Centorrino
Parlare della Cariddi,
potrebbe sembrare, ormai, retrò. Voci, chiacchiericcio e libere
interpretazioni, è stato dato spazio a tutti; addetti ai lavori, amatori o
semplici cittadini hanno vissuto, in modo diverso, le avventure-disavventure
della nave traghetto più chiacchierata della storia delle Ferrovie dello Stato
a Messina. Viene varata nel 1932, presso i Cantieri Navali Riuniti dell’Adriatico
di Trieste, destinata all’attraversamento dello Stretto di Messina ed adibita
al trasporto di carri ferroviari. Giunta a Messina prese il posto, come
ammiraglia della flotta FS, della sua gemella Scilla, un po’ più anziana, ma diversa nella motorizzazione; difatti,
la Cariddi era mossa da un
avveniristico motore diesel-elettrico, che avrebbe potuto “illuminare” l’intera
città di Messina, qualora ce ne fosse stato il bisogno. Fino al 1943, la nave svolse, in modo encomiabile, il suo
ruolo di ferry-boat, condividendolo con le altre consorelle Scilla, Mongibello, Aspromonte e Villa, ma nell’agosto di quell’anno, per
impedire che il materiale bellico, in essa contenuto, cadesse in mano degli
alleati (ormai, alle porte della città provenienti da Gela), venne autoaffondata
con tutto il prezioso carico nelle acque della rada di Paradiso.
Il recupero della nave, senza “non poche” difficoltà,
avvenne dopo 6 anni: fu, dapprima, liberata dal carico e poi riportata a galla,
mediante un sistema di cilindri “stabilizzatori”, a cura della ditta Weigert di
Messina. La Cariddi, tornata a
galleggiare, si presentò agli occhi dei cittadini presenti, quasi completamente,
capovolta ed altri 5 mesi ci vollero per riportarla dritta e recuperarne gli
interni, era il dicembre del 1949. Tenuto conto delle “ancora” buone condizioni
dello scafo e delle strutture portanti, si ritenne opportuno progettarne il
ritorno, al più presto, alla sua naturale destinazione. La nave fu, così,
sottoposta ad ulteriori lavori, che vennero effettuati tra La Spezia (lo scafo
fu tagliato in due tronconi, per consentirne l’allungamento) e Riva Trigoso,
dove, a seguito dell’allungamento, venne:
1) incrementato il numero dei binari (da 3 a 4) aumentando
la capacità di carico dei carri ferroviari; 2) creata una sovrastruttura prodiera (castello), sulla
quale poter caricare fino a 15 autovetture;
3) installato un nuovo sistema di propulsione, sempre
diesel-elettrico;
4) posizionato un secondo fumaiolo, cosa che contraddistinse
la nave, fino alla fine dei suoi giorni.
La Cariddi fu rimessa in mare, nell’ottobre del 1953, e
dalle acque liguri, dopo le opportune prove e le autorizzazioni ministeriali,
giunse, nuovamente, nello Stretto, il 27 novembre 1953 e, con grande orgoglio
delle Ferrovie dello Stato, riprese, regolarmente, servizio tra le due sponde
il 30 dicembre. Da allora, nonostante gli arrivi di sempre più nuove e
moderne unità (Reggio, San Francesco di Paola, Iginia, Sibari, Rosalia, etc.) la
Cariddi ha deliziato gli occhi dei
vecchi marittimi con quel suo profilo unico: la “bocca” di prua aperta, i due
fumaioli e le stupende rifiniture interne. Alla fine degli anni ’80, iniziò il declino di questa
splendida “rinnovata” creatura.
Con l’avvento delle navi bidirezionali (le zattere con
propulsione a pale verticali Voith-Schneider),
la Cariddi venne impiegata, sempre
meno, fino ad una forzata e prolungata giacenza al porto di Reggio Calabria,
dove comunque, anche, se con personale ridotto, veniva, quotidianamente, messa
in moto per garantire la funzionalità dei motori elettrici. Nel periodo in cui
iniziò a prendere voce la possibilità di mettere in disarmo l’unità (che
avvenne nel 1991), in tanti proposero di continuare ad utilizzare la Cariddi, per fini socio-culturali, e,
tra i richiedenti (cosa che, spesso, viene tralasciata), la Fondazione del
Museo “Cousteau”, del Principato di Monaco, che offrì quasi 2 miliardi di
vecchie lire, per l’acquisto della nave da destinare a museo del mare
itinerante. La risposta delle FS fu che essendo la nave “patrimonio da
salvaguardare” (viste le caratteristiche dell’apparato motore), non poteva
essere, assolutamente, ceduta. Da lì a poco, invece, sarebbe avvenuta la
disfatta “totale”.
Se i vertici politico-amministrativi avessero avuto la
modestia e la fiducia di credere nella Cariddi
“patrimonio marinaro”, non l’avrebbero persa di vista un solo minuto. I
progetti e le proposte ascoltati allora sono stati molteplici: da nave scuola
(immaginate un Istituto Tecnico Nautico galleggiante ed itinerante? In
Inghilterra gli allievi nautici beneficiavano della nave scuola Uganda, una vecchia nave ospedale della
seconda guerra mondiale, nella quale avevano posto circa 1500 allievi, che
effettuavano, periodicamente, delle lunghe crociere d’istruzione, oltre che
delle lezioni a bordo), a museo del mare o sala congressi o ristorante
galleggiante (immaginiamola posizionata in uno dei laghi di Ganzirri o al
riparo nella rada di Paradiso). Quello che successe è, invece, storia più recente, quella
storia fatta di disattenzioni, distrazioni (in tutti i sensi!), incuria e
sperpero di denaro pubblico che, sommate ad una gretta ignoranza, hanno
permesso che un gioiello come la Cariddi
finisse in fondo al mare!
La nave, dopo essere stata collocata in disarmo, nel novembre
1991, faceva “gola” a diverse associazioni (Compagnia
del Mare, Cooperativa Centro Servizi “Cariddi”,
Associazione Marinara “Capitani di lungo
corso”, “Meter e Miles”), ma
dovettero passare tutte sotto il “permesso” della provincia regionale di
Messina, che, con un atto a sorpresa (più per il prezzo pattuito, che per l’inciucio
politico), si vide aggiudicare la Cariddi
dalle FF.SS., corrispondendo a questa una somma che “non” superò i 200 milioni
di vecchie lire (da rottame, in quanto la valutazione minima era 250 milioni di
lire!!!). La pubblica amministrazione continuava ad affondare i denti su questo
“ferrovecchio”, difatti la provincia regionale di Messina, tra il 1992 e l’affondamento,
dovette pagare equipaggio, ormeggi, cantieri, vigilanza, senza mai trarne
profitto o prendere iniziative tali da rivalorizzare la nave. La nave traghetto
Cariddi, nel frattempo, tra incendi e
saccheggi, iniziò un lento declino, senza che nessuno garantisse una benché
minima manutenzione, tant’è che tra il 13 ed il 14 marzo del 2006 “Lei” decide
di togliere il disturbo, si adagia, mollemente, sul fondale della rada di San
Francesco, tra i 20 ed i 30 metri di profondità, sotto gli occhi “lucidi” di
chi era abituato a vederla lì, quasi, a guardia dell’imboccatura del porto, di
quella “falce”, che, dagli occhi della Madonnina, tante volte l’aveva benedetta!
Chi vi racconta è il figlio dell’ultimo comandante della
nave traghetto Cariddi ed il
sentimento che prova a raccontare del “Cariddazzu”
(così, lo chiamava, Saro Centorrino), è legato a ricordi e testimonianze autentiche,
così come buona parte delle foto qui allegate. La nave traghetto Cariddi sarebbe potuta essere, per una
buona parte di giovani marittimi messinesi, come la Nina, la Pinta o la Santa Maria; essa avrebbe, certamente,
permesso di “scoprire” altre realtà professionali da noi ancora distanti.
|