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 domenica 15 maggio 2011

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50° ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI C.G. JUNG

di Barbara Cortimiglia


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In ricordo di un celebre psichiatra-psicoanalista C.G. Jung e per il 50° anniversario della sua morte, venerdì 13 c.m. si è tenuta, presso i saloni dei cavalieri di Camelot del centro diurno cittadella sanitaria “L. Mandalari”, una tavola rotonda dal titolo “Il pensiero junghiano in un mondo complesso” per onorare il suo grande pensiero e la sua profonda saggezza.

Diversi i professionisti che si sono succeduti nell’attenta riflessione circa la nota psicologia analitica di Jung.

Gli ospiti sono stati allietati, prima dell’incontro, dalla visione dell’intervista faccia a faccia con il giornalista John Freeman che C.G. Jung rilasciò nel 1959, dove rispose ad una serie di domande a proposito delle sue esperienze di medico negli ospedali psichiatrici, raccontando alcuni aneddoti interessanti, ma anche della rottura con il suo maestro Sigmund Freud, padre dalla psicoanalisi, dal momento che egli stesso sosteneva che “Freud avrebbe avuto una certa noncuranza per le condizioni storiche dell’uomo”.

Morì, poco dopo, nel 1961.

Ad aprire i lavori della tavola rotonda il dott. Matteo Allone, analista junghiano e responsabile del centro diurno “Camelot”; prof. Gembillo, ordinario di filosofia della complessità “Edgar Morin” dell’università di Messina; dott. Ancona, analista junghiano; prof. La Barbera, ordinario di psichiatria, presso il dipartimento di biomedicina dell’università di Palermo; dott. Mondo, analista junghiano; dott. Baldari, responsabile U.O.S. – psicoterapia, studi e ricerche, micropsicoanalista, direttore I.I.M.

Un medico che, già allora, nel suo approccio col paziente, vide l’essenzialità di considerare quest’ultimo come una “persona” della quale sviluppare le sue potenzialità: il suo metodo era orientato all’umano. L’aspetto della cura psichica è un’assunzione di un atteggiamento speciale (simbolico) allo stato psichico del paziente. Occorre porre attenzione al sintomo – così egli sottolineava.

Jung, nonostante non facesse parte di quest’epoca, aveva già percepito la perdita dei simboli e del senso della vita, il disagio della post-modernità, un’epoca in cui vige un mondo caratterizzato da frammentazione, scissione, eccessivo narcisismo, desimbolizzazione, in cui si è perso il senso autentico della vita, dove prevale il “non-senso”. In poche parole un “mondo complesso” governato dal non-senso della vita, all’interno della quale vi è un appiattimento di valori e ideali, di sentimenti e di emozioni.

L’essere umano è divenuto colui che subisce, piuttosto che essere un individuo attivo protagonista della propria vita. La psicologia analitica di Jung si propone come metodo che può recare sollievo al caos prodotto dalla post-modernità.

Pertanto, già allora, si avvicina alla cultura post-moderna, partendo dall’individualismo all’individuazione come stato psichico caratterizzato da fluidità che permette all’essere umano di riconnettersi al senso della vita e che produce un individuo psicologico, un’unità separata, indivisibile: un ‘tutto’.

Il suo intento era quello di suggerire un metodo per accrescere la coscienza umana e condurre l’uomo oltre l’individualismo e, come fine ultimo, guidare la coscienza dell’‘Io’ fuori dai suoi territori verso nuovi orizzonti.


 


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