REATI
Dalla violenza sulle Donne al crescente Femminicidio
di Olga Cancellieri
La violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci – Isaac Asimov. La violenza contro le donne è una delle più
vergognose violazioni dei diritti umani – Kofi Annan. Appare necessario iniziare con
delle citazioni forti, perché viviamo un momento difficile e delicato. Pertanto, prima che anche la
normativa che punisce la violenza sulle donne, frutto di un lungo e complicato iter legislativo, venga depenalizzata,
come già sta accadendo con l’omissione di soccorso, l’omicidio colposo e lo stalking;
sembra doveroso spendere qualche parola sugli articoli del codice penale che
puniscono chiunque ponga in essere qualunque forma di violenza nei confronti di
donne di tutte le età. Inizialmente, tale reato era
collocato nella parte del Codice Rocco (1933), dedicato ai “reati contro la
moralità pubblica e il buon costume”. La trasposizione è avvenuta solo nel
1996, quando la legge n. 66 ha novellato il vecchio codice penale, inserendo il
reato della violenza sessuale nell’apposito ambito dei “delitti contro la
persona”. Tuttavia, prima che tale normativa venga modificata e precisata in
modo da apprestare effettiva tutela per tutte le donne che subiscono violenza,
in ogni sua forma, bisogna aspettare il 2009, prima della ratifica della
Convenzione di Istanbul e il decreto legge sulle violenze di genere del 2013.
Di fronte a episodi sempre più
frequenti, anche in Italia, del c.d. “femminicidio”, il Governo ha ritenuto
opportuno utilizzare lo strumento della decretazione d’urgenza (93/2013),
convertito con modifiche dalla legge 15 ottobre 2013, n°119. Si tratta, ancora
una volta, di un decreto legge piuttosto eterogeneo che, assieme al nocciolo
duro delle norme sul femminicidio prevede anche disposizioni di tutt’altra
natura. Né il codice né la legge, però,
forniscono una definizione di tale fenomeno, sicché è utile adottare le nozioni
già esistenti nel linguaggio comune e nella letteratura criminologica. Dal
primo punto di vista, pare rispondente la definizione fornita di recente dal
Devoto-Oli per cui femminicidio è “qualsiasi
forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una
sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuare la
subordinazione e di annientare l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o
psicologico, fino alla schiavitù o alla morte”.
In ambito criminologico, inoltre,
la donna è stata individuata come un tipo vittimologico, posto che il
femminicidio racchiude l’insieme di pratiche violente esercitate da un soggetto
di sesso maschile in danno di una donna in quanto tale. In Italia, il fenomeno è
tristemente assurto alle cronache nel suo proliferarsi, producendo una forte
reazione nell’opinione pubblica e nel movimento femminista, anche in
concomitanza alla nascita di “Se non ora
quando?”.
Certamente, tali leggi hanno,
notevolmente, rafforzato le misure di punizione dei colpevoli. Hanno previsto
il finanziamento dei centri anti-violenza che si occupano delle vittime
proteggendole e aiutandole a ricostruirsi una “vita normale”. Hanno anche
immaginato, in particolare il decreto del 2013, numerose misure di prevenzione
attraverso un lavoro nelle scuole o anche attraverso i media. Ancora una volta, però, l’applicazione della legge resta
insoddisfacente. Anche semplicemente perché la questione della violenza contro
le donne non è solo un’urgenza, ma anche, e soprattutto, un problema
strutturale che si può combattere solo trasformando, con l’educazione e la
cultura, la mentalità di molti uomini e di molte donne.
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