MESSINA
Terra di Gesù Onlus: Lettera della vedova Liotta Premio Medico di Carità alla Memoria
di Redazione
Lettera inviata dalla dott.ssa
Floriana Di Marco vedova Liotta, Premio Medico di Carità 2019 alla memoria, scomparso
durante l’alluvione di novembre scorso a Corleone mentre si recava a lavoro: “Mi preme iniziare la scrittura di queste
righe chiedendovi, prima di tutto, di perdonare la mia mancata presenza fisica.
Non a caso, uso questa allocuzione per trasmettervi, invece, una forte partecipazione, che – spero – possa
affiorare dal mio più sentito ringraziamento. È un tempo intenso e complesso
quello che, all’indomani della tragedia che ci ha colpito, si è aperto per noi
familiari tutti. Giorni che si sommano gli uni agli altri, senza più un ritmo
noto: giorni di profondo dolore, di dura
resistenza e di fatica speranzosa. Questo vissuto, assolutamente personale,
avrebbe reso troppo penoso per noi
sostenere, in ogni suo aspetto, lo svolgersi della serata che voi tutti
meritate e vi accingete a vivere.
Scusate questo piccolo accenno, ma credo che, essere messi nelle condizioni di
potere cogliere il cuore e il ‘momento’
di un interlocutore, possa essere il presupposto di uno scambio comunicativo vero ed autentico.
Da
quando circa un mese e mezzo fa, sono stata contattata dal collega, il dottore
Francesco Certo, ho colto ‘l’eccezionale bellezza’ di questo riconoscimento
offerto alla memoria di mio marito. Un’opportunità, senza dubbio per chi riceve, ma anche per chi dona. Per
questo motivo, sin dalla prima
conversazione telefonica avuta con lui, ho sentito che, in questa occasione, la
‘cifra del cuore’ sarebbe stata
quella giusta da impiegare e spero che il coraggio e lo sforzo vengano
premiati, facendomi percepire tra voi
come una presenza viva e vera, unita al di sopra di ogni contingenza.
Ringrazio
chi ha pensato di dedicare a mio marito questo premio perché senza dubbio lui
era un uomo di carità, ed è per me miracoloso che l’aspetto identitario di
tutto il suo essere e operato sia riuscito a coprire nel silenzio tanti chilometri di distanza. Solo l’amore
profuso e la carità restano. Questa è
l’affermazione nella quale mio marito Giuseppe credeva e nella quale spendeva
la ‘semplicità’ di una vita feriale
che evitava ogni vanto. Essere, invece, che apparire nella Carità non sfuggendo alla difficoltà e alle sfide di
questa scelta coraggiosa. E la Carità per definizione lo è sempre.
La
Carità per mio marito non era filantropia, ma l’aspirazione a una relazione
che, seppur segnando il
limite umano, apre alla grandezza di Dio e del cielo. Una porta che nell’amore
si schiude all’immenso e gli permette
di entrare nella piccolezza della vita di ogni giorno consentendogli, attraverso ognuno di noi, di trasformarsi in
calore, luce, cura, attenzione e speranza per chi ci circonda. Questa relazione era il primo atto medico di mio marito. A
questo punto, qualsiasi esperienza radicata nella Carità può esprimere il suo
più alto grado di maturità, perché la Carità tutto unisce e rende prossimo, in
un equilibrio perfetto tra le parti. Così, lui è stato ogni giorno marito,
padre, figlio, fratello, amico, medico e collega amorevole, senza cedere alla
tentazione attuale del modello di uomo di successo, che valorizzando solo
alcuni aspetti della vita compie il sacrificio
di altri e, insieme a questi, di se stesso. Non solo un ‘medico di Carità’,
quindi, che sapeva ascoltare,
intervenire, curare e guarire, ma prima di tutto un uomo ‘pieno’ e liberamente
ispirato a Gesù Cristo.
Se
così non fosse stata la sua vita, avrei avuto difficoltà ad accettare qualsiasi
attestato lontano dalla sua verità. Non l’atto eroico di una notte, quindi, che il tam tam
mediatico ha promosso, ma il riconoscimento
di una vita nella scelta dell’amore. Non so quanti sanno che quella sera mio
marito non era l’unico medico su
quella strada, dimenticata più dagli uomini che da Dio, a cercare di raggiungere il proprio posto di lavoro nelle
medesime condizioni di allerta. Penso sempre che questa sia un’altra cosa che vorrebbe che tutti
sapessero, non solo per essere giusto nei confronti di altri colleghi che a differenza sua non sono stati
meno meritevoli, solo più fortunati, ma anche per invitare a rinnovare la fiducia in una professione,
quella medica, che ho avuto l’onore di condividere con lui nel nostro pane quotidiano, e in cui spesso
ormai si rischia la vita, per derive violente, anche nelle sale dei Pronto Soccorso e nelle corsie.
Concludo
condividendo con tutti voi una riflessione che il giornalista e scrittore Gery
Palazzotto ha dedicato
alla nostra vicenda sulle pagine della Repubblica, che ringrazio
particolarmente per le sue parole.
Non l’interpretazione di un fatto tragico attraverso un’emozione pietista, ma
una riflessione profonda, generosa,
disponibile alla verità seppur nel dolore”. “… Quanti altri Giuseppe Liotta
ci sono nel nostro mondo di
sopravvissuti? ...Un signor nessuno che diventa, ai nostri occhi, un gigante
quando improvvisamente non c’è più: perché
eravamo distratti, perché ci occupiamo sempre delle stesse cose e delle stesse persone, spesso inutili se non perniciose,
mentre trascuriamo il buono che non
fa romanzo, il bello che non fa scena, l’utile che non fa audience…”.
“Quanti?”... “Di sicuro ce ne
sono tanti. A ognuno di loro, nella vita di ogni giorno, il nostro
riconoscimento, la nostra cura e la nostra attenzione. A noi tutti, forza e
coraggio nell’Amore. Con questo augurio, vi ringrazio di tutto
anche per la pazienza adoperata nell’ascolto. Vi auguro di vivere con gioia
questa serata e la vostra vita”.
Floriana Di Marco,
vedova Liotta
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