PATOLOGIE
Individuate molecole che possono rallentare la malattia di Parkinson
di Redazione
Lo sviluppo della malattia di
Parkinson potrebbe essere rallentato grazie alle Resolvine, molecole prodotte
dal nostro organismo per spegnere processi infiammatori e riparare i tessuti
danneggiati da questi processi. Lo evidenzia un nuovo studio pubblicato su
Nature Communications dai ricercatori dell’Università di Roma Tor Vergata,
Fondazione Santa Lucia IRCCS e Università Campus Bio-Medico di Roma. I
ricercatori hanno prima rilevato un ridotto livello di una specifica Resolvina,
la Resolvina D1, in pazienti affetti dalla patologia e sono, quindi,
intervenuti in modo sperimentale su modelli di laboratorio per riequilibrare la
presenza di questa importante molecola nell’organismo animale. Il gruppo di
ricerca è così riuscito a rallentare il processo neurodegenerativo che
caratterizza la malattia di Parkinson.
“Lo
studio – spiega Nicola Mercuri, ordinario di Neurologia dell’Università di
Roma Tor Vergata, coordinatore della ricerca – ci ha permesso di dimostrare
che la proteina alfa sinucleina, nota per il ruolo chiave nello sviluppo della malattia di Parkinson, causa molto
precocemente un cattivo funzionamento
dei neuroni dopaminergici. Le conseguenze sono disturbi motori e cognitivi, ma
anche un’aumentata neuroinfiammazione
associata a ridotti livelli di Resolvina D1 che abbiamo osservato nel sangue e nel liquor di pazienti affetti
da Parkinson, in cura presso il Policlinico di Tor Vergata”. Partendo da
questa osservazione, i ricercatori hanno somministrato Resolvina D1 in modelli
di laboratorio e dopo due mesi di trattamento hanno potuto osservare una
progressiva riduzione dello stato infiammatorio e del processo degenerativo. Si
sono, così, ridotti anche i sintomi motori e comportamentali caratteristici
della malattia. I risultati dello studio, sottolineano i ricercatori, offrono
nuovi spunti non solo per l’individuazione di terapie efficaci, ma anche nell’anticipazione
dei tempi di diagnosi della malattia.
“Ad
oggi, la diagnosi di malattia di Parkinson avviene tardivamente, quando più
della metà dei neuroni dopaminergici è già andata distrutta e non abbiamo
terapie per rigenerarli – sottolinea Marcello D’Amelio, ordinario di
Fisiologia Umana del Campus Bio-Medico di Roma e responsabile del Laboratorio
di Neuroscienze Molecolari dell’IRCCS Santa Lucia –. Essere riusciti a
intervenire in Laboratorio su un
processo infiammatorio collegato a questa neurodegenerazione prima che i neuroni dopaminergici siano andati persi per
sempre, fa ben sperare per future sperimentazioni cliniche in grado di rallentare o auspicabilmente arrestare lo sviluppo
della malattia”. “È ragionevole ipotizzare che la presenza
ridotta di Resolvine in pazienti affetti da Parkinson possa in futuro servire anche come marcatore precoce
della malattia”, spiega, inoltre, Valerio Chiurchiù, ricercatore dell’Unità
di Biochimica dell’Università Campus Bio-Medico di Roma e dell’IRCCS Santa
Lucia. Lo studio ha visto anche la collaborazione dell’Università Cattolica del
Sacro Cuore, dell’Università degli Studi di Perugia, dell’Università di Tubinga
in Germania e dell’Università di Harvard negli Stati Uniti. (Ansa)
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