Già! Perché l’apnea,
oggi, non è più solo quella dei campioni, ma, nella stragrande maggioranza dei
casi, quella di chi ama un approccio con il mare più naturale e immediato, per
scoprire, così, il piacere interiore della consapevolezza del proprio respiro,
del corpo che si sposta, fluidamente, nell’acqua, dello stare in ascolto di sé,
per quei pochi attimi ogni volta nuovi, e, soprattutto, dell’osservare tutte
quelle forme di vita alle quali, mentre si trattiene il respiro, ci si sente
più vicini.
L’apnea, per
definizione, è la cessazione o la sospensione dell’attività respiratoria.
Sospendere,
volontariamente, la respirazione è un comportamento che l’uomo, da millenni,
compie, spontaneamente ed istintivamente, prima d’immergere il viso nell’acqua.
Il desiderio di
scoperta del mondo sottomarino, forse, sembra recente, ma, in realtà, è antico
quanto è antica la curiosità dell’uomo ed il suo innato bisogno di scoprire e
ricercare.
Datare l’immersione
subacquea non è compito facile. Gli storici ci informano solo della presenza di
pescatori “subacquei” nel Mar Baltico circa diecimila anni fa. Forse, le
conchiglie possono aiutare gli storici in questa ricerca perché rappresentano
le prime testimonianze di un’utilizzazione delle risorse marine nella
preistoria. In babilonia, a Bisunaya, furono trovati oggetti incrostati di
madreperla, opere di artisti vissuti 4500 anni or sono. Mille anni più tardi, a
Tebe, allo stesso scopo, venivano usate conchiglie di ostriche perlifere. Senza
dubbio, in quei tempi remoti, i primi “sub” della storia s’immergevano davanti
alle coste del Golfo Persico e del Mar Rosso per raccogliere conchiglie, perle
o spugne, oppure, ostriche, apprezzate come alimento prima che la madreperla
venisse usata per gli intarsi.
La leggenda e la
storia ci hanno tramandato molti fatti e imprese compiuti da “apneisti”, nei
vari secoli, per scopi di diversa natura. Tra i tanti, vale la pena ricordare:
la leggendaria immersione di Alessandro il Grande, che si fece calare sott’acqua
rinchiuso in un contenitore costruito su misura; quella di Glauco, pescatore di
spugne della civiltà cretese (2000 a.C.) citato da Erodoto, che raggiungeva i
-100 metri ed aveva, anche, i 10 minuti di apnea, perché si nutriva di una
particolare alga magica (Glauco con ogni probabilità, rappresenta la prima
descrizione di un decesso in acqua per sincope anossica). Racconta, infatti,
Erodoto che Nettuno, il dio del mare, affascinato dalle imprese di Glauco, un
giorno lo trattenne sott’acqua alla sua corte, tra le nereidi e le sirene, ed
il suo corpo riaffiorò cosparso di alghe; gli “urinatores” dell’esercito romano,
paragonabili ai moderni “commandos” di marina con veri e propri compiti d’incursione
subacquea; il pescatore greco Scillyas e sua figlia Cyana che, secondo il
racconto di Erodoto nel 480 a.C., in una incursione subacquea notturna,
tagliarono i cavi di ormeggio delle navi da guerra della flotta persiana di
Serse provocandone seri danni; il siciliano Nicola Pesce, citato da molti
autori, tra cui i gesuiti padre Fourmer e Kucher, che, intorno al 1150, superava
anche i -100 metri; i mitici pescatori di perle e coralli polinesiani ed i
pescatori di spugne greci tra i quali, ricordiamo, Georgios Haggi Statti,
trentacinquenne da Simi che, nel 1913, recuperò nelle acquee dell’Egeo, a -80
metri di profondità, l’ancora incagliata della nave militare italiana “Regina
Margherita”.
Ben diversi gli
scopi per gli apneisti del secondo cinquantennio del XX secolo: Raimondo
Bucher, pioniere del Profondiamo italiano,
primo a raggiungerei -30 metri, nel 1950, ed i -44, nel 1952; Enzo Maiorca e
Jacques Mayol che, tra gli anni sessanta e ottanta, in una sfida interminabile,
raggiunsero profondità variabili dai -60 ai -100; Umberto Pelizzari, Luca
Genoni e il cubano Francisco “Pipin” Ferreras, profondisti dell’ultima
generazione che, con i record nelle varie specialità e con oltre i -150 metri,
hanno, ulteriorment,e allargato l’orizzonte dell’apnea.
Tutti atleti che,
negli anni, animati dallo stesso spirito di conquista, hanno realizzato imprese
eccezionali raggiungendo profondità, sempre più, ragguardevoli dando impulso
anche alla ricerca scientifica e tecnologica.
Dalla Marina militare italiana, nel 1949,
giunge il termine di “sommozzatore” per indicare il subacqueo che s’immerge in
situazioni di respirazione autonoma e quello di “apneista” per indicare colui
che s’immerge in apnea e, cioè, in arresto respiratorio volontario.
Sempre nel 1948,
sorgono le prime associazioni e con esse il nuovo sport.
A soli tre anni
dalla fine del conflitto mondiale, unica tra le federazioni competenti, la FIPS ne apprezza e prevede gli sviluppi
futuri accogliendolo nella sua organizzazione. Nello stesso anno troviamo la
prima manifestazione agonistica, una gara di tecnica subacquea, ed i primi
corsi per l’insegnamento dell’immersione in apnea. Un corso di apnea si occupa
della formazione dell’uomo subacqueo e, cioè, della sua capacità ed idoneità a
muoversi, comportarsi, ragionare e tutelarsi nel mondo sottomarino. Migliorare
la preparazione fisica, giungere, sempre, ad una più profonda e consistente
preparazione mentale con lo scopo principale di raggiungere la sicurezza in
mare: questi, in sintesi, gli scopi di un corso per apneisti.
Andare sott’acqua
significa adattarsi a condizioni psico-fisiche nuove; diversi sono gli stimoli
che riceviamo e le reazioni che abbiamo, rispetto a quelle della vita di tutti
i giorni. Ci abitueremo a muoverci in un’altra dimensione e questo sarà
possibile, piacevole e non sarà faticoso perché il nostro organismo è in parte
predisposto, possiede capacità simili a quelle dei mammiferi acquatici, quasi a
ricordarci le lontane origini comuni e, cioè, quando la vita si svolgeva
nell’acqua.
Il primo degli
scopi di un corso di apnea FIPSAS
(Federazione Italiana Pesca Sportiva e Attività Subacquee) sarà, dunque, quello
di metterci in condizione di star bene nell’acqua e sott’acqua, di raggiungere
quelle che, comunemente, vengono definite “acquaticità e subacquaticità”.
Per raggiungere
questo risultato si sommano adattamenti di tipo fisico, psicologico, organico e
tecnico.
Fisico: programmare una buona preparazione di base con
l’apprendimento e l’esecuzione di esercizi mirati;
Psicologico: allontanare il disagio e la paura (non la
prudenza) abituando il cervello ad una diversa coordinazione dei movimenti, ad
una selezione dei gruppi muscolari in modo da non sprecare energie e ad uno
stato di massima concentrazione e rilassamento;
Organico: imparare a rispondere con il proprio corpo alle
condizioni imposte dal mezzo in cui si va ad operare e, cioè, in totale assenza
di aria e in variazione di pressione;
Tecnico: imparare a convivere con nuove attrezzature,
conoscendole per utilizzarle al meglio.