mercoledì 21 novembre 2018
TERZA EDIZIONE
Assisi – “Giancarlo Zizola”: una scuola per giovani giornalisti
di Tiziana Santoro
 I
consiglieri nazionali e i presidenti di ciascuna UCSI regionale, dal 16 al 18
novembre, sono intervenuti alla 3a
Edizione della scuola di formazione “Giancarlo Zizola” per incontrare i
giovani giornalisti cattolici giunti da ogni parte d’Italia. Il primo confronto
si è tenuto ad Assisi, presso la Cittadella, ed è stato incentrato sulla
tematica “raccontare la città”. Nel ruolo di moderatore, è intervenuto il presidente
dell’UCSI Vania De Luca, la quale ha accolto i presenti e – traendo spunto dall’ultimo
numero della rivista desk – ha accennato alle crescenti complessità dello
spazio urbano: luogo di relazioni, cittadinanza, inclusione/esclusione,
solidarietà/egoismo, opportunità/ingiustizie. Il presidente ha posto l’accento
sul difficile compito a cui deve adempiere il giornalista nell’esercizio della
sua professione, facendosi coraggiosamente garante della libertà di
informazione: pilastro fondante della democrazia.
Non
è un caso – sottolinea il sindaco di Assisi, Stefania Proietti – che la sede
dell’incontro sia Assisi, Città che con la sua Carta si è guadagnata il ruolo
di attivista per la pace e il dialogo. Il presupposto per una corretta analisi
interpretativa dei fenomeni trae fondamento – prosegue il sindaco – nella
Costituzione Italiana, che rifiuta la guerra come strumento per redimere le
controversie e gli antagonismi fra gli uomini. La via da seguire è duplice e
percorre due direttrici: sul piano locale l’ascolto delle esigenze del singolo
e l’attenzione per i suoi bisogni; tuttavia, occorre avere anche una visione,
una prospettiva di cambiamento aperta sul mondo, che promuova l’azione di pace
e di difesa dei diritti dei bambini persino in terre lontane come lo Yemen. I
politici cattolici e i giornalisti cattolici devono agire animati dalla
medesima volontà: quella di guardare con occhi sinceri la realtà per poi agire
con coraggio, per dare una direzione migliore allo sviluppo degli eventi.
Successivamente, interviene il giornalista e scrittore Mario Marazziti, il
quale ricorda l’insegnamento del giornalista vaticanista Giancarlo Zizola,
apprezzato per la sua cultura, il suo amore per il mondo, ma soprattutto per
non aver assunto mai una posizione monoculturale e aver dimostrato attenzione
per il gusto e la forma del racconto.
Nella
difficile operazione di raccontare la città, ogni bravo giornalista, dovrebbe “usare
occhiali per raccontare quello che non si vede”, superare le logiche
individualiste e porre l’accento sull’empatia. La sfida del tempo – sottolinea
più volte Marazziti – consiste nel non vedere nell’altro un nemico e nel
ritrovare il gusto del vivere insieme. A tal proposito, avverte sul pericolo “mistificatorio
del linguaggio giornalistico”, che si avvale di termini dall’eccezione
discriminante come “clandestini” piuttosto che “rifugiati” o di termini
impropri come “premier” che non trova affinità né corrispondenza col processo
democratico ed elettivo delle rappresentanze politiche del nostro Paese. Un
altro ammonimento è rivolto contro i giornalisti che – attraverso titolazioni
affrettate o notizie poco approfondite – assecondano lo slittamento delle
coscienze verso la diffusione inverosimile di sentimenti di rabbia e
discriminazione raziale. L’appello all’assunzione di responsabilità coinvolge
anche i sindaci ed i politici a cui spetta l’arduo compito di garantire i
diritti e non di stabilire a chi attribuirli. L’unico antidoto possibile all’odio
raziale è – insiste Marazziti – connettere le persone attraverso l’avvicinamento
per far sì che ciascuno si riscopra nell’altro.
Vincenzo
Morgante, direttore Tv2000, prende la parola per approfondire il ruolo del
giornalista locale per cui l’empatia e la simpatia costituiscono l’essenza di
un mestiere, che si contraddistingue come servizio erogato verso le persone.
Morgante ha più volte messo a fuoco il rapporto di interdipendenza che
intercorre tra il giornalista locale che è, al tempo stesso, spettatore e
attore partecipe di ciò che riguarda i luoghi e le persone di cui tratta. Il
giornalista locale ha il valore della prossimità: conosce luoghi, persone ed
eventi che coinvolgono la comunità a cui lui stesso appartiene. Questo richiede
– sostiene Morgante – di operare con “la schiena dritta” senza sacrificare la
verità e il diritto di cronaca ai diktat dei potenti del luogo, dando spazio a
quelle notizie di vita vissuta che costituiscono “l’ossatura dell’informazione
locale”. Nei rapporti tra notizie di rilevanza nazionale e locale il piano
gerarchico dell’importanza si relativizza in base agli interessi del lettore,
per cui ciò che realmente conta è la cura con cui questo “giornalista-artigiano”
esalta la notizia attraverso la qualità con cui seleziona le domande e la forma
con cui restituisce ai lettori i suoi articoli. Dello stesso avviso è anche
Padre Occhetta, scrittore della Civiltà Cattolica, il quale eguaglia la
professione giornalistica a una vocazione, che si concretizza attraverso la
missione di riscoprire l’altro. Costruire la città – secondo Padre Occhetta –
significa riscoprire il valore assoluto dell’altro e della persona e promuovere
la connessione tra le solitudini che coesistono nelle città.
Per
risolvere l’antagonismo tra il centro e le periferie occorre procedere secondo
un approccio produttivo: capire i processi senza imporsi; immergersi nelle
realtà altrui, mettere a fuoco la bellezza e utilizzarla come base per
edificare un rinnovato modo di vivere in comunità. Al giornalista, spetta l’arduo
compito di cogliere i nuovi nessi, anticipare la coesistenza civile e farsi
partecipe di un “processo di costruzione della felicità pubblica”. Secondo
Padre Occhetta, per realizzare ciò occorre avere cura di non utilizzare le “parole
come pietre” e di “gerarchizzare ciò che è umano rispetto a ciò che non lo è”,
facendo prevalere non schemi preconcetti, ma “modelli umani”. Il relatore
prosegue esponendo i rapporti tra “populismo” e dimensione “etica del
giornalista”, il quale deve assolvere al dovere di denunciare “ciò che è
disumano” e che mina la libertà di stampa; riportare la verità dei fatti ogni
qualvolta ne riconosca l’utilità sociale dell’informazione, esponendoli
attraverso una forma civile. Padre Occhetta teorizza un giornalismo che muova
verso il prossimo e che sia in grado di annullare la distanza tra gli uomini
acuita dal web.
Dal
contraddittorio – a cui hanno partecipato i presidenti, i rappresentanti e i
giornalisti dell’UCSI accorsi da ogni regione – sono emerse le difficoltà
odierne di chi è chiamato a svolgere la professione giornalistica ai tempi
della globalizzazione: l’attacco politico alla categoria; la difficoltà a
mantenersi integri e liberi nell’esercizio del proprio operato; l’esigenza di
ridefinire il ruolo e la missione del giornalista. Oltre al problema della
mission si pone quello dell’approfondimento della notizia; della possibilità di
puntare l’obiettivo su visioni diverse di vivere e abitare il mondo per offrire
squarci e prospettive diverse. Non è da meno la problematica attinente alla
ridefinizione di un metodo capace di svilupparsi da assunti culturali, che
tenga conto di una prospettiva storica e che si concretizzi attraverso una
progettualità condivisa. La credibilità del giornalista, inoltre, andrebbe
ricercata nel procedimento di distinzione-superamento del “linguaggio aspro e
antagonista” che alimenta “la social-confusione” a danno dell’informazione e
della cultura. Un modo uscire dall’impasse – afferma Mario Marazziti – consiste
nel creare prospettiva, nel raccontare storie positive, nell’offrire al lettore
corridoi umanitari e bilanci positivi. Vincenzo Morgante suggerisce di puntare
sui contenuti e sulla credibilità, dando importanza alla competenza,
rivalutando le fonti d’archivio; promuovendo la cultura attraverso la lettura e
ponendo lo sguardo alla stessa altezza di colui che è osservato.
Nel
contraddittorio, non sembra distinguersi una singola voce, ma piuttosto sembra
di udire una coralità di voci tutte orientate nella stessa direzione: quella
del rinnovamento, della riscoperta e della ridefinizione di una professione e
di un metodo che – partendo da una scala di valori condivisa – possa
contribuire a rigenerare l’integrità professionale dei giornalisti attraverso
un dialogo partecipato e condiviso.
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